Adempimento delle prescrizioni dell'organo di vigilanza: qualunque modalità efficace estingue il reato
A dirlo è la sentenza del 25 gennaio 2018 (udienza del 30 novembre 2017) n.3671 della terza sezione penale della Cassazione (ric. Vallone).
L’organo di vigilanza aveva contestato al responsabile dell’ufficio lavori pubblici di un comune le contravvenzioni di cui agli artt. 46 del d.lgs. n.81/2008 e 20 del d.lgs. n.139/2006, in quanto un edificio scolastico di proprietà comunale era privo dell’impianto idrico antincendio previsto dalla normativa e del necessario certificato di prevenzione incendi.
Avverso la sentenza di condanna del Tribunale l’imputato deduceva di avere comunicato all’organo di vigilanza, successivamente all’emissione della prescrizione che ingiungeva la regolarizzazione delle contravvenzioni, che l’edificio scolastico era stato trasferito in altra sede, per cui gli adempimenti imposti non erano realizzabili. Si duoleva, pertanto, di non essere stato posto in condizione di pagare la sanzione amministrativa pari ad un quarto del massimo dell’ammenda e di non avere perciò potuto conseguire l’estinzione del reato.
Nel decidere il ricorso, la Corte formula un’opportuna lettura della normativa di cui al procedimento premiale delineato nel d.lgs. n.758/1994, osservando innanzi tutto che benché l'art. 21 del d.lgs. 758/1994 fissi il dovere dell'organo di vigilanza di ammettere il contravventore al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa nel caso in cui la violazione sia stata eliminata «secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione», ciò non esclude che altrettanto debba farsi laddove ricorrano analoghe situazioni, e cioè allorquando la violazione sia comunque efficacemente venuta meno. Sottolinea opportunamente la Corte che il sistema di definizione in via amministrativa delineato dal d.lgs. 758/1994 deve essere interpretato in senso costituzionalmente orientato, come ritenuto in numerose pronunce della Corte costituzionale intervenute sul tema (come la sentenza 12 febbraio 1998, n. 19 e le ordinanze 24 maggio 1999, n. 205 e 9 aprile 2003, n. 192). In particolare, nella prima delle richiamate decisioni, la Corte costituzionale, premesso che la disciplina normativa in esame mira, «da un lato ad assicurare l'effettività dell'osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, materia in cui l'interesse alla regolarizzazione delle violazioni, e alla correlativa tutela dei lavoratori, è di gran lunga prevalente rispetto all'applicazione della sanzione penale, dall'altro si propone di conseguire una consistente deflazione processuale», ha ritenuto che «entrambe le ragioni che ispirano la disciplina in esame ricorrono nel caso in cui il contravventore abbia spontaneamente e autonomamente provveduto a eliminare le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione prima o, comunque, indipendentemente dalla prescrizione dell'organo di vigilanza: anzi, è plausibile e ragionevole sostenere che a maggior ragione dovrebbe essere ammesso alla definizione in via amministrativa, in vista dell'estinzione del reato e della conseguente richiesta di archiviazione del pubblico ministero, il contravventore che abbia spontaneamente regolarizzato la violazione» (Corte cost., sentenza n. 19/1998). Osservando come «lo stesso legislatore abbia espressamente previsto due situazioni" anomale" rispetto al procedimento tipico» – vale a dire quelle indicate negli artt. 22, comma 1, e 24, comma 3, del d.lgs. 754/1994 – nella citata sentenza n. 19/1998 la Corte costituzionale ha ritenuto che alle stesse previsioni possa farsi ricorso in via analogica per colmare eventuali "lacune" dipendenti dall'obiettiva difficoltà di prevedere in astratto tutte le possibili situazioni equipollenti a quelle disciplinate dalla legge.
Facendo applicazione di questi principi al caso di specie, la Corte ha ritenuto che l'eliminazione delle conseguenze pericolose del reato conseguente allo spostamento delle attività scolastiche in un'altra sede prima del decorso del termine stabilito per l'adempimento della prescrizione avrebbe legittimato il contravventore a fruire del meccanismo di estinzione del reato con pagamento della sanzione ridotta, in via amministrativa a seguito di provvedimento di ammissione emesso dall'organo di vigilanza, ovvero a perfezionare l'oblazione in via giudiziale ai sensi dell'art 24, comma 2, del d.lgs. 758/1994.
La conclusione è senza dubbio apprezzabile e coerente con le finalità deflattive e di ripristino della sicurezza che animano il procedimento di cui al d.lgs. n.758/1994: riportare la situazione alla legalità, far incassare delle somme in via amministrativa all’Erario, diminuire il numero dei processi penali.
Il ricorrente avrebbe dunque dovuto essere ammesso al pagamento in via amministrativa, dal quale sarebbe conseguita l’estinzione del reato.
Differentemente, peraltro, da quanto ulteriormente dedotto dall’imputato, la Corte ha ritenuto – in conformità al più recente e maggioritario orientamento di legittimità – che la violazione della procedura amministrativa da parte dell'organo di vigilanza non dovesse considerarsi causa di improcedìbilità dell'azione penale (Sez. 3, n. 7678 del 13/01/2017, Bonanno; Sez. 3, n. 20562 del 21/04/2015, Rabitti; Sez. 3, n. 5864/2011 del 18/11/2010, Zecchino; Sez. 3, n. 26758 del 05/05/2010, Cionna). Ha ritenuto, difatti, necessaria un'interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina dettata dagli artt. 20 ss. d.lgs. n. 758/1994, anche in relazione all'art. 112 Cost., posto che la violazione della procedura amministrativa estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale. Il contrario orientamento – affermato, a quanto consta, dalla isolata Sez. 3, n. 37228/2016 del 15/09/2015: «in tema di reati contravvenzionali in materia di legislazione sociale e lavoro, l'omessa fissazione da parte dell'organo di vigilanza di un termine per la regolarizzazione, come previsto dall'art. 20, comma primo, d.lgs. 19 dicembre 1994 n. 758, è causa di improcedibilità dell'azione penale» – appare infatti incompatìbile con il principio di obbligatorietà dell'azione penale.
Del resto – come dapprima osservato – anche in caso di mancato perfezionamento della procedura il contravventore ben può fruire dell'estinzione del reato in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata.
Nella specie l'imputato non aveva peraltro tempestivamente avanzato una tale richiesta, sicché non poteva più dolersi, a giudizio della Corte, del mancato ottenimento dell'effettivo estintivo né, tantomeno, pretendere una declaratoria di improcedibilità dell'azione penale, in contrasto con l'art. 112 Cost.