Alcune, utili, puntualizzazioni in tema di sicurezza nei cantieri
Il settore dell’edilizia è, a tutt’oggi, quello più frequentemente interessato dal verificarsi di infortuni sul lavoro; ma è forse anche, per altro verso, quello in relazione al quale si sentono più spesso nelle aule di giustizia argomentazioni difensive (strumentalmente?) dissonanti rispetto ad approdi giurisprudenziali ormai consolidati.
Non sembra inutile, pertanto, puntualizzare, prendendo spunto dalla recentissima sentenza della sezione quarta penale della Cassazione n.6507 del 9 febbraio 2018 (ud. 11 gennaio 2018, ric. Caputo) alcuni punti fermi nell’interpretazione ed applicazione di principi essenziali del nostro sistema normativo in tema, appunto, di sicurezza nei cantieri.
Giova premettere che il procedimento concluso con la citata sentenza concerneva l’infortunio occorso ad un operaio della ditta incaricata della fornitura e posa in opera di tubazioni nell’ambito di un cantiere per la realizzazione di un ospedale, il quale proprio il primo giorno di lavoro era precipitato da una rampa di scale di emergenza, non adeguatamente protetta, mentre avrebbe dovuto lavorare in altra area di cantiere.
Si contestava al responsabile della sicurezza per la ditta affidataria dei lavori edili, al capocantiere ed all’assistente di cantiere di avere disatteso le ripetute sollecitazioni del coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dei lavori ad attuare prescrizioni di cautela con riferimento alla circostanza per cui le scale di emergenza erano prive di idonei parapetti, poco illuminate ed ingombre di materiali.
I primi due imputati avevano prestato acquiescenza alla sentenza di condanna, mentre l’assistente al capocantiere era ricorso in Cassazione, muovendo, rispetto alla sentenza di condanna, diverse censure – tutte peraltro disattese dalla Corte di Cassazione – che investono tematiche sule quali, come si diceva poc’anzi, è il caso di soffermarsi.
La prima doglianza concerne la contestazione al fatto di essere stato ritenuto dai giudici titolare di una posizione di garanzia, quanto meno con riferimento ai dipendenti di società diverse da quella affidataria dei lavori edili, per la quale l’assistente lavorava.
Disattendendo la doglianza, la Corte ricorda che, per giurisprudenza costante, in tema di sicurezza sul lavoro il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, obbligo nel quale rientra il dovere di segnalare situazioni di pericolo per l'incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative "contra legem": egli infatti sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione (Sez.4, n.4340 del 24/11/2015; Sez.4, n.9491 del 10/1/2013). Per il principio di effettività delle mansioni, assume in ogni caso la posizione di garante colui che si accolla i compiti del preposto (Sez.4, n.50037 del 10/10/2017).
Secondo la definizione normativa, il preposto è la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovraintende all'attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di garanzia (art.2, comma 1, lett.e) d.lgs.n.81/2008). Peraltro, le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'art.2, comma 1, lett.b) (datore di lavoro), lett.d) (dirigente), e lett.e) (preposto), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti (art.299 d.lgs. citato).
Nel merito, la Corte ha ritenuto che l’assistente di cantiere rivestisse una posizione di garanzia in quanto, nella qualità di preposto della ditta affidataria, partecipava costantemente, insieme al responsabile della sicurezza ed al capocantiere, alle riunioni del comitato per la sicurezza indette dal coordinatore per l’esecuzione (CSE), ed in quanto a lui, come agli altri due imputati, erano indirizzate le censure in ordine alle violazioni in tema di sicurezza ed erano rivolte le disposizioni diramate dal CSE con indicazione delle prescrizioni necessarie ad eliminare gli inconvenienti riscontrati. Tanto risultava dei verbali delle riunioni e dalle numerose testimonianze assunte. Dunque, era titolare di una posizione di garanzia ai sensi dell'art.299 d.lgs.n.81/2008, per cui avrebbe dovuto provvedere ad eliminare una serie di criticità, di cui era ben consapevole, con particolare riguardo alla pulizia dei luoghi, alla illuminazione ed agibilità delle aree di cantiere, in particolare delle scale, alla cartellonistica, del tutto carente.
Il fatto che la posizione di garanzia fosse rivestita anche da altri soggetti, parimenti destinatari delle medesime prescrizioni del Comitato per la Sicurezza, non determina poi – è questa la seconda puntualizzazione della sentenza – l’esclusione di responsabilità del ricorrente, poiché in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari di una posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge, fin quando non si esaurisca il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (Sez.4, n.18826 del 9/2/2012).
Sotto altro aspetto la Corte ha poi correttamente ritenuto irrilevante il fatto che l’operaio infortunatosi non lavorasse alle dipendenze della impresa del ricorrente.
In materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, appartiene infatti al gestore del rischio connesso all'esistenza di un cantiere anche la prevenzione degli infortuni di soggetti a questo estranei, ancorché gli stessi tengano condotte imprudenti, purché non esorbitanti il tipo di rischio definito dalla norma cautelare violata (Sez.4, n.38200 del 12/5/2016; Sez.4, n.43168 del 17/6/2016).
Talune norme prevenzionistiche, attinenti la sicurezza del cantiere, intendono infatti evitare il rischio che chiunque, addetto o non alla lavorazione all'interno dello specifico sito, dipendente od estraneo, per qualunque motivo, possa trovarsi in una situazione di pericolo e riportare danni. In tale caso, le ragioni per le quali si determina il contatto tra la fonte di pericolo e l'estraneo, non incidono sulla causalità colposa, proprio perché la sfera di competenza del titolare dell'obbligo è definita su basi eminentemente oggettive, ovvero in relazione alla fonte di pericolo.
Un ultimo tema ha poi formato oggetto delle considerazioni della Corte, e cioè quello, spesso dibattuto in udienza, della esclusione di una condotta abnorme dell’infortunato, tale da interrompere il nesso di causalità. Riproponendo anche sul punto un orientamento costante, la Corte ha evidenziato che il rispetto delle norme prevenzionali ha lo scopo di ridurre al minimo il rischio di incidenti che è fisiologico possano avere alla base l'errore dell'operatore, generato anche da imprudenza. Proprio al fine di scongiurare tali eventi nefasti, evitabili rispettando gli standard di sicurezza imposti dalla legge, vi sono soggetti chiamati al ruolo di garanzia in favore degli operatori esposti al rischio antinfortunistico: essi non possono pretendere esonero di responsabilità in caso di condotta inadeguata del lavoratore, fatto salvo il contegno abnorme; quest’ultimo si configura però solo in caso di comportamento anomalo, assolutamente estraneo alle mansioni attribuite, esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere (Sez.4, 5 marzo 2015 n.16397; Sez.4, 14 marzo 2014 n.22249) e non anche quando il lavoratore compia un'operazione che, seppure imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate.
Nel caso di specie l’operaio infortunatosi, al suo primo giorno di lavoro, forse per errore o seguendo un'indicazione sbagliata, per raggiungere il posto a lui assegnato era entrato dall'alto nel vano scala pericoloso: era emerso dunque in maniera evidente che il rispetto delle prescrizioni più volte impartite dal competente Comitato per rendere tale vano scala inaccessibile fino alla sua messa in totale sicurezza, nonchè l'allocazione di adeguata cartellonistica di cantiere indicativa dei percorsi da seguire, avrebbero impedito l'evento mortale, scongiurando proprio quel rischio in concreto verificatosi.