All'associazione in partecipazione si applica la definizione di lavoratore?

Muovendo da un approccio improntato al fondamentale criterio di “effettività” delle tutele, in attuazione del quale si guarda all’“ambiente di lavoro”, o meglio all’organizzazione” che fa capo all’imprenditore piuttosto che alla condizione (formale) del lavoratore, il T.U. considera, “a fini degli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto”, i soggetti che – a prescindere dal tipo di relazione che intercorre tra prestatore e datore di lavoro/committente e dalla sua qualificazione formale (ossia dalla tipologia contrattuale utilizzata) – svolgano “un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari” (art. 2, comma 1, lett. a)).

La scelta del legislatore del 2008 consente di ricondurre alla persona del “lavoratore” tutti quei soggetti che il datore di lavoro coinvolge funzionalmente nel proprio ambito organizzativo utilizzandone le prestazioni lavorative per il perseguimento dei propri scopi, quali che siano.

Ancora una volta il criterio informante la formulazione adottata dal T.U. risulta essere quello della “effettività”, ossia dell’effettivo/concreto utilizzo, da parte di un soggetto (datore di lavoro o altro), della prestazione resa dal lavoratore, sul presupposto che l’obbligo prevenzionale non può che gravare su colui che della prestazione di lavoro resa si avvantaggia in concreto.

In questa prospettiva ciò che rileva, anche in linea con la nozione di datore di lavoro accolta dal testo unico, è l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione di cui il soggetto/datore è responsabile.

Anche su questo versante, la scelta del legislatore è stata quella di codificare un indirizzo che la giurisprudenza aveva espresso già nella vigenza del D. Lgs. n.626 del 1994.

Quanto ai soggetti “equiparati” si registra un “allargamento” rispetto alla fattispecie contenuta nel d.lgs. n. 626 del 1994: la norma, in particolare, considera tra questi i soci lavoratori di cooperative o società, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto delle società e degli enti stessi, gli associati in partecipazione di cui agli artt. 2549 c.c. e ss., i soggetti beneficiari delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento al lavoro di cui all’art. 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196 e di cui a specifiche disposizioni di leggi regionali, promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali, mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro, altre figure rientranti in percorsi di tipo scolastico o professionale, nonché i lavoratori di cui al D. Lgs. n. 468 del 1997, e successive modificazioni, ossia i lavoratori che sono inseriti in lavori socialmente utili.

Alla luce delle considerazioni su espresse ed in risposta al quesito formulato si evidenzia che essendo gli associati in partecipazione equiparati ai lavoratori, occorrerà ottemperare a tutti gli obblighi previsti dal D. Lgs. n. 81/2008, primo fra tutti la stesura del documento di valutazione dei rischi da parte di chi riveste la qualifica di datore di lavoro e gli obblighi di informazione e formazione nei confronti dei lavoratori (tra cui gli associati in partecipazione).

 

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