Area di rischio e delega di funzioni
La fattispecie che ha condotto la Corte di Cassazione a delineare alcune condivisibili considerazioni in ordine alla delimitazione delle aree di rischio, rilevante ai fini dell’applicazione della normativa in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e, conseguentemente, in ordine alla pertinenza ed efficacia di eventuali deleghe di funzioni ha riguardo ad un incidente occorso ad un dipendente delle Poste Italiane, impiegato nel reparto “ricevimento/invio”, con la mansione di addetto allo scarico e al carico delle merci; egli si trovava sotto la pensilina, in corrispondenza della banchina di carico, e stava provvedendo al carico di “roller” (carrelli con struttura “a gabbia”, contenenti plichi da recapitare) su un camion, quando, tirando all’indietro uno dei carrelli e non essendosi accorto della fine della banchina, cadeva all’indietro, finendo sul piazzale sottostante. L’imputato rivestiva l’incarico di responsabile di area, con delega conferita per assicurare la rispondenza dei luoghi di lavoro alle disposizioni normative vigenti, con poteri di spesa nell’ambito del budget approvato annualmente dall’azienda. Gli si contestava la violazione degli artt. 63 comma 1 e 64 comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 81/2008, non avendo garantito che la banchina di carico fosse tale da assicurare i lavoratori dal rischio di caduta, in particolare non avendola dotata di barriere di protezione.
Va premesso che l’imputazione era stata elevata anche nei confronti del dirigente con delega alla sicurezza del Centro Meccanizzazione Poste Italiane Spa; questi era stato condannato e non aveva impuganto la sentenza.
Al contrario, la sentenza di condanna del responsabile di area è stata riformata dalla Cassazione, che ha, a tal fine, proceduto ad una disamina del tema della delimitazione delle aree di rischio ed ha, conseguentemente, reputato inconferente la delega rilasciata all’imputato quale presupposto per affermarne la responsabilità.
Si tratta della sentenza della IV sezione della Cassazione, 27 gennaio 2020, n. 3184, che ha preso le mosse dalla considerazione per cui in tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia – che può essere generata da investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante – deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di protezione dello specifico bene giuridico che necessita di protezione e di gestione della specifica fonte di pericolo di lesione di tale bene, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro.
E’, pertanto, preliminare ad ogni giudizio individuare la causa di produzione dell’infortunio e, conseguentemente, l’area specifica di rischio cui tale causa accede. Nel caso oggetto della sentenza la causa ed il rischio presupposto sono stati individuati nella mancata assicurazione dei lavoratori dal rischio caduta dalla banchina, non dotata di barriere di protezione.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ampiamente illustrato come si articoli, nel sistema della sicurezza del lavoro, la posizione di garanzia; come essa debba essere definita in linea di principio e come debba essere riconosciuta in concreto con riguardo all’organizzazione aziendale. La materia è stata parzialmente disciplinata sin dai primi atti normativi in tema di sicurezza ed è stata infine unitariamente trattata nel Testo unico sulla sicurezza del lavoro di cui al d.lgs. 81/2008, peraltro recependo la sistemazione giurisprudenziale dell’istituto che si era formata nel corso del tempo.
Come è noto, il sistema prevenzionistico è tradizionalmente fondato su diverse figure di garanti, che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzativa e gestionale: il datore di lavoro, il dirigente e il preposto. In particolare, per ambedue le ultime figure occorre tener conto, da un lato, dei poteri gerarchici e funzionali che costituiscono base e limite della responsabilità, e, dall’altro, del loro ruolo di vigilanza e controllo. Si può dire, in breve, che si tratta di soggetti la cui sfera di responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo di cui concretamente dispongono. Tali definizioni di carattere generale subiscono specificazioni in relazione a diversi fattori, quali il settore di attività, la conformazione giuridica dell’azienda, la sua concreta organizzazione, le sue dimensioni, essendo ben possibile che in un’organizzazione di qualche complessità vi siano diverse persone, con diverse competenze, chiamate a ricoprire i ruoli in questione. Queste considerazioni di principio evidenziano che nell’ambito dello stesso organismo può riscontrarsi la presenza di più figure di garanti. L’individuazione della responsabilità penale passa, pertanto, anche attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all’interno di ciascuna istituzione, atteso che, oltre alle categorie giuridiche, rilevano, in particolare, i concreti ruoli esercitati da ciascuno, ruoli sulla base dei quali si declina la categoria giuridica della posizione di garanzia. Espressione, questa, che esprime l’obbligo giuridico di impedire l’evento, il quale fonda la responsabilità in ordine ai reati commissivi mediante omissione, ai sensi dell’art. 40 cpv cod. pen.
La centralità dell’idea di rischio emerge con particolare incisività nel contesto della sicurezza del lavoro, pur esistendo diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare. Si può, quindi, affermare che garante è il soggetto che gestisce il rischio.
Riconosciuta la sfera di rischio come area che designa l’ambito in cui si esplica l’obbligo di governare le situazioni pericolose – e che quindi conforma contenuto e confini di tale obbligo del garante – deve procedersi ad individuare concretamente la figura istituzionale che può essere razionalmente chiamata a governare il rischio medesimo e la persona fisica che incarna concretamente quel ruolo.
E dunque, con riguardo al caso sottoposto al suo esame, la Corte ha osservato che dal documento di “delega e attribuzioni di responsabilità su interventi e adeguamenti strutturali, su manutenzione di uffici e impianti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro di cui al d.lgs. n. 81/2008” emergeva che l’imputato (come detto, responsabile d’area) non disponeva di autonomi poteri di intervento e di scelta degli interventi da effettuare – e, dunque, di autonomia decisionale – in quanto il relativo potere di spesa doveva essere esercitato in accordo con il Piano degli interventi definiti dal datore di lavoro. Egli era un organo tecnico, in quanto tale con funzioni distinte da quelle dell’unico delegato alla sicurezza (l’altro imputato, condannato e non ricorrente) e soggetto a deliberazioni assunte da altre persone. Dunque, l’imputato non rivestiva alcuna posizione di garanzia nel senso più sopra illustrato, mentre, per altro verso, la natura del rischio concretizzatosi, afferente alla predisposizione delle opere provvisionali, chiamava in causa altra figura qualificata alla gestione di tale rischio esecutivo, e cioè la persona condannata e non ricorrente.
L’impossibilità, pertanto, di governare una specifica area di rischio, per effetto della mancata titolarità dei poteri all’uopo necessari, impedisce la configurazione di una posizione di garanzia e dunque l’insorgenza, in caso di evento lesivo, di un profilo di responsabilità.
Ma altra questione – sulla quale la Corte nel caso di specie non ha avuto modo di soffermarsi, non essendo stata la stessa devoluta al suo giudizio – è quella relativa alla possibile, concorrente responsabilità conseguente alla mancata segnalazione, al soggetto garante, titolare dell’obbligo di intervento, dei presupposti di pericolo che richiedono l’attivazione dell’intervento stesso. In altre parole, una cosa è l’obbligo di intervenire per conformare la singola situazione all’obbligo di prevenzione, una cosa, diversa, è l’obbligo di segnalare a chi deve intervenire il maturare dei presupposti che rendono doveroso l’intervento stesso. Non può escludersi, invero, che anche la violazione di tale secondo obbligo – tipico, ad esempio, del preposto, ma anche del dirigente, seppur privo dei poteri di spesa – possa rilevare come concausa dell’evento lesivo ed essere quindi fonte di responsabilità.