Delitti in materia di sicurezza del lavoro e misure cautelari personali
Nei procedimenti per reati in materia di sicurezza del lavoro si è da sempre soliti confrontarsi con l’applicazione di misure cautelari reali (sequestri di macchinari, attrezzature, impianti, a volte anche di interi stabilimenti) ma assai raramente con misure cautelari personali, come ordinanze di applicazione della misura della custodia in carcere o degli arresti domiciliari. Ciò perché, a parte le contravvenzioni – per le quali tale genere di misure non è, comprensibilmente, neppure astrattamente consentito – si tratta, quanto ai delitti di omicidio e lesioni personali (artt. 589-590 cp) di fattispecie colpose, rispetto alle quali la pericolosità degli autori dei reati (da valutare sotto i diversi profili del pericolo di reiterazione del reato, del pericolo di inquinamento delle prove e del pericolo di fuga) non è generalmente così elevata da necessitare l’applicazione di misure restrittive nei confronti della persona già nel corso del procedimento e prima dell’eventuale sentenza definitiva di condanna. Ma, in realtà, la pena edittale prevista per il delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme di sicurezza (a differenza di quella per il delitto di
lesioni colpose, seppur aggravate dalla violazione delle norme di sicurezza) consente l’adozione anche della misura della custodia in carcere e, quale tipologia di intervento cautelare normalmente più adeguata, di quella degli arresti domiciliari.
E ciò è quanto è avvenuto nel corso delle indagini svolte dalla Procura di Roma con riferimento al reato di cui all’art.589 cod. pen., con inosservanza delle disposizioni in materia antinfortunistica, in relazione alla morte di un dipendente il quale, nel manovrare una trattrice agricola con ruote gommate per il trasporto di legname, si era ribaltato più volte ed era rimasto schiacciato dal mezzo.
La Corte di Cassazione, con la sentenza della sezione IV, del 20 aprile 2020, n. 12445 (udienza del 7 febbraio 2020) ha concluso il procedimento incidentale in materia cautelare, confermando la ordinanza del Tribunale del Riesame che, a sua volta, aveva respinto la richiesta di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal GIP in danno dell’amministratore di fatto della ditta che aveva destinato il
dipendente deceduto all’attività di trasporto del legname.
Le indagini avevano evidenziato un quadro indiziario assolutamente rilevante, grave e univoco a sostegno tanto della sussistenza della posizione di garanzia rivestita dall’amministratore di fatto della ditta, quanto delle gravissime lacune organizzative e gestionali dell’azienda da questi gestita. Gravissime invero erano le lacune riscontrate dai giudici della cautela, sia in fase di valutazione dei rischi e di formazione del relativo documento, sia in relazione alla formazione e all’informazione del dipendente infortunato, sia infine nella messa a disposizione di un mezzo assolutamente inadeguato, tanto per le caratteristiche sue proprie (ruote gommate), quanto in relazione all’area, dalla morfologia impervia e dalla accentuata pendenza, in cui il lavoratore era chiamato ad operare.
La Cassazione ha dovuto dunque decidere, tra l’altro, in ordine ai motivi di ricorso relativi alla contestata ricorrenza di concrete esigenze cautelari e ai criteri di adeguatezza e di proporzionalità della misura applicata rispetto alla pericolosità dell’indagato, siccome richiesto dall’art. 274 cpp per l’adozione delle misure cautelari. Ha, a tal fine, spiegato che “l’attualità” dell’esigenza cautelare non costituisce un predicato della sua “concretezza”. Si tratta, infatti, di concetti distinti, legati l’uno (la concretezza) alla capacità a delinquere del reo, l’altro (l’attualità) alla presenza di occasioni prossime al reato, la cui sussistenza, anche se desumibile dai medesimi indici rivelatori (specifiche modalità e circostanze del fatto e personalità
dell’indagato o imputato), deve essere autonomamente e separatamente valutata, non risolvendosi il giudizio di concretezza in quello di attualità e viceversa. La Corte ha ritenuto che, nella specie il giudice del riesame avesse rispettato questo principio, evidenziando da una parte le peculiari ed estremamente gravi ed offensive modalità del fatto contestato all’indagato, cui era addebitabile l’oblio delle più elementari
regole cautelari, dall’altra parte l’attualità del rischio di reiterazione del reato, posto che quanto occorso alla persona offesa era stato preceduto da analoghi gravi episodi infortunistici nell’utilizzazione della trattrice. La ricorrenza di eventi di tale fatta, in epoca immediatamente precedente quella in cui si era realizzato l’infortunio mortale, rappresentava da un lato riprova dell’assoluto difetto organizzativo dell’indagato nella
adozione di misure di prevenzione ai fini dello svolgimento in sicurezza delle operazioni di carico e di trasporto del legname, dall’altro un profilo di immanente pericolo, che rasentava la certezza, stante la prosecuzione della gestione aziendale connotata da gravi carenze in tema di sicurezza, gravide di conseguenze perniciose.
Tale inferenza era poi avvalorata, nel caso specifico dalle considerazioni inerenti alla personalità dell’indagato, caratterizzata dall’azzardo e dalla elusione delle proprie responsabilità, in quanto lo stesso aveva proseguito nella gestione dell’attività imprenditoriale nonostante il fallimento della sua azienda, continuando nella sconsiderata e pericolosa gestione della movimentazione del legname, operando a tale
fine sotto la copertura di un prestanome. Nel contempo la Corte ha osservato che il giudice del riesame non aveva certo trascurato il decorso del tempo tra il momento di applicazione della misura e i fatti in valutazione, mettendo in evidenza il comportamento dell’indagato successivo ai fatti in termini tali da giustificare la concretezza e l’attualità del rischio di inquinamento delle prove e, soprattutto di reiterazione di condotte criminose della stessa specie, logicamente desunto dalla eclatante gravità della condotta e dalla palesata carenza di regole cautelari nella prosecuzione dell’attività imprenditoriale. Infine la Corte ha respinto anche il motivo di ricorso con il quale il ricorrente denunciava violazione di legge in punto di
adeguatezza e proporzionalità della misura degli arresti domiciliari concretamente adottata; ha infatti osservato che il giudice del riesame aveva evidenziato che, a fronte degli elementi desunti dalla personalità del ricorrente e dalle modalità assolutamente eclatanti delle inosservanze denunciate, la misura degli arresti
domiciliari costituiva un presidio cautelare minimo, atteso che una misura non detentiva avrebbe lasciato l’indagato del tutto libero di svolgere ogni attività di inquinamento probatorio e di reiterare i reati accertati.
E certamente non può biasimarsi la scelta dei giudici di impedire concretamente la prosecuzione dell’attività d’impresa a chi si trovi in condizioni come quelle che si sono descritte. In casi siffatti l’attività può continuare, se ne ricorrono le condizioni, ma certamente non può continuare ad assumere le determinazioni decisorie colui che presenti un elevatissimo profilo di pericolosità, in quanto totalmente incurante dell’esigenza di garantire la sicurezza dei lavoratori impiegati nell’attività d’impresa.