Disastro ferroviario di viareggio: scatta la prescrizione senza il riconoscimento delle aggravanti in materia di prevenzione
La sentenza n.32899 del 6 settembre 2021 della quarta sezione della Corte di Cassazione, sezione penale (udienza del 21 gennaio 2021) è stata emessa a conclusione del giudizio relativo al procedimento penale scaturito da tragici fatti occorsi il 29 giugno 2009 nel Comune di Viareggio.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, incontestata nel giudizio avanti alla Corte di Cassazione, in quel giorno, intorno alle ore 23,48, il treno merci n. 50325, composto dalla locomotiva e da 14 carri cisterna trasportanti GPL, che procedeva sulla tratta Trecate-Gricignano, mentre transitava alla velocità di circa 100 Km/h sul quarto binario della stazione di Viareggio, sviava con il primo carro cisterna e successivamente con altri quattro carri. In particolare, lo svio riguardò un assile del primo carrello del primo carro, nel momento in cui transitava in adiacenza del marciapiede fra il terzo ed il quarto binario, il cui cordolo venne colpito dal carrello sviato. Dopo aver incontrato nella sua corsa un attraversamento a raso, si verificava lo svio anche dell’altro asse del primo carrello e questo sormontava il cordolo del marciapiede, con successivo ribaltamento del primo carro e, a seguire, degli altri quattro sul fianco sinistro. Nella fase di strisciamento sulla sede ferroviaria il primo carro impattava con un elemento di acciaio, che provocava uno squarcio nella cisterna, con conseguente fuoriuscita del gas trasportato che invadeva la sede ferroviaria e le aree circostanti. Dopo pochi minuti si verificava una potente deflagrazione che interessava tutta l’area limitrofa. Il vasto incendio che ne derivava provocava trentadue morti, lesioni gravi a numerose persone, la distruzione o il grave danneggiamento di innumerevoli veicoli e di numerose abitazioni adiacenti la stazione ferroviaria di Viareggio.
La causa dello svio è stata identificata dai giudici nel cedimento dell’assile del primo carro, determinato dal suo stato di corrosione. Sono state individuate le diverse società – e i relativi responsabili – che avevano montato l’assile sul carro, che erano proprietarie del carro, che l’avevano noleggiato ad altra società, che avevano eseguito un intervento di manutenzione nel marzo 2009; era stato anche accertato che l’assile era stato sottoposto a revisione conclusa il 28.11.2008 presso un officina di Hannover, che il trasporto dei carri merci era stato eseguito per conto di altra società e che l’infrastruttura ferroviaria faceva capo a Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. I responsabili, a vario titolo, delle diverse società sono stati tratti a giudizio. Senza entrare nel dettaglio dei diversi capi di imputazione, contestati ad oltre trenta imputati, basti dire che è stato loro ascritto di aver cagionato il disastro ferroviario, l’incendio e le morti e le lesioni che scaturirono dal deragliamento, avendo assolto ai rispettivi compiti con negligenza, imprudenza, imperizia e con violazione di norme nazionali e comunitarie, dettagliatamente indicate nelle rispettive imputazioni. Tra queste norme ve ne erano alcune, specificamente indicate, contenute nel d.lgs. n. 81/2008, o richiamate da esso (come le prescrizioni UNI EN).
Il tema di carattere giuridico che in questa sede ci si propone di analizzare è quello relativo alla nozione di ‘norme per la prevenzione degli infortuni’, quale viene in considerazione ai fini della integrazione delle circostanze aggravanti rispettivamente previste dall’art. 589, co. 2 e dall’art. 590, co. 3 cod. pen, relativi, rispettivamente, all’omicidio colposo ed alle lesioni personali colpose. Invero, i termini di prescrizione del reato sono raddoppiati per i delitti di omicidio colposo e lesioni personali colpose, qualora aggravati in ragione della violazione delle norme in questione. L’esclusione, nel giudizio di Cassazione, della configurabilità di tali aggravanti, ha pertanto condotto all’applicazione del termine ordinario di prescrizione dei reati, termine che è risultato in concreto spirato al momento del giudizio stesso.
La Corte ha dunque osservato, in merito all’argomento in questione, che la locuzione “fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”, che caratterizza l’aggravante prevista dalle menzionate disposizioni codicistiche, deve essere apprezzata alla luce del principio della cd. concretizzazione del rischio, presupposto necessario per l’imputazione oggettiva dell’evento ad uno o più responsabili. In questo senso, nei reati colposi di evento alla causalità materiale deve aggiungersi la causalità della colpa, che viene accertata verificando che l’evento verificatosi corrisponda alla classe di eventi il cui accadere la regola cautelare violata intende evitare (cd. concretizzazione del rischio) e che il comportamento doveroso mancato avrebbe effettivamente evitato l’evento realizzatosi qualora adottato (efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito). Se la condotta colposa coincide con la trasgressione della regola cautelare, si può dire che il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni se nell’evento si è concretizzato il rischio da queste norme governato; non è sufficiente il solo rapporto di causalità materiale. L’accertamento impone, secondo la Corte, due necessità; la prima consiste nel verificare quale sia la classe di eventi che la regola cautelare vuole scongiurare, ovverosia il fine di tutela della norma, o lo scopo della norma. La regola cautelare sorge da un ripetuto giudizio di prevedibilità e di evitabilità. La generalizzazione che considera la correlazione tra la situazione ed il rischio esprime il giudizio di prevedibilità; quella che considera la correlazione tra il rischio e la misura esprime il giudizio di evitabilità. La seconda necessità consiste nel verificare se l’evento concreto che è accaduto appartenga o meno alla ‘classe’ di eventi che la norma mira ad evitare. Un evento concreto è come tale irripetibile, essendo connotato da una miriade di dati non più riproponibili, come ad esempio la sua collocazione temporale. Ma poiché si tratta di verificare se l’evento concreto appartiene ad una classe di eventi, quella ricchezza di connotazioni che ne determinano l’unicità perde di rilievo, dovendo essere ricercata soltanto la presenza dei profili che qualificano la classe di eventi che interessa.
Più in particolare, a proposito del concetto di ‘norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro’ la sentenza in commento ha osservato che la locuzione è tradizionalmente intesa nel senso di ricomprendere anche le violazioni delle norme per l’igiene del lavoro e anche tutte quelle disposizioni che, anche non collocate nei decreti presidenziali o nelle leggi esplicitamente dedicati alla materia, pure, direttamente o indirettamente, perseguono il fine di evitare incidenti sul lavoro o malattie professionali. Ma il principio è stato utilizzato anche con riferimento all’art. 2087 c.c., a riguardo del quale si è detto che anche la sua violazione vale ad integrare l’aggravante in parola. La norma, lungi dall’avere “valore astratto ed ammonitivo”, prevede un preciso obbligo dell’imprenditore, diretto ad eliminare, nell’esercizio dell’impresa, ogni situazione di pericolo dalla quale possa verificarsi un evento dannoso; anche la violazione di quest’obbligo rientra, pertanto, tra le violazioni di norme antinfortunistiche che aggravano il comportamento colposo del soggetto attivo del reato. E dunque, in buona sostanza, può concludersi che la locuzione “norme in materia di prevenzione per gli infortuni” chiama in causa regole cautelari volte a eliminare o ridurre non già un generico rischio di morte o lesioni, ma specificamente eventi in danno di lavoratori o di soggetti a questi assimilabili scaturenti dallo svolgimento dell’attività lavorativa. Consegue, altresì, da un lato che il dato meramente nominalistico e topografico non assume rilievo dirimente e, dall’altro, che in assenza di chiari indici della tipologia di rischio al cui governo è posta la regola cautelare va adottata una interpretazione pro reum.
In altre parole, continua la Corte, il fatto che sia stata violata una regola prevenzionistica non garantisce che l’evento sia stato commesso proprio in quanto vì è stata tale violazione. Non bisogna incorrere nell’errore di ritenere che il fatto è stato commesso con violazione di norma per la prevenzione degli infortuni, sol perché si registra la presenza di dati che solitamente si accompagnano al rischio lavorativo e che pertanto possono esserne indicatori (ad esempio: il soggetto passivo è un lavoratore; l’evento si è verificato nel corso dell’attività lavorativa; soggetto passivo è un terzo estraneo all’organizzazione lavorativa, ma l’evento si è verificato nell’ambiente di lavoro). Anche quando si registrano importanti indicatori che farebbero concludere che l’evento costituisce concretizzazione del rischio lavorativo (contesto lavorativo, evento in danno del lavoratore, persino violazione di regola prevenzionistica) può accadere che esso invece sia concretizzazione di altro tipo di rischio, perciò definito ‘eccentrico’.
Il principio che la Corte ha formulato all’esito della ricostruzione come sopra operata è quindi il seguente:
“Ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante di cui all’art. 589, co. 2 (e all’art. 590, co. 3) cod. pen., la locuzione “se il fatto è commesso … con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” va interpretata come riferita ad eventi nei quali risulta concretizzato il rischio lavorativo, per essere quelli causati dalla violazione di doveri cautelari correlati a tale tipo di rischio. Per rischio lavorativo deve intendersi quello derivante dallo svolgimento di attività lavorativa e che ha ordinariamente ad oggetto la sicurezza e la salute dei lavoratori, ma può concernere anche la sicurezza e la salute di terzi, ove questi vengano a trovarsi nella medesima situazione di esposizione del lavoratore”.
Tirando le somme del suo ragionamento complesso, la Corte ha concluso che l’integrazione dell’aggravante in esame richiede:
– che sia stata violata una norma a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori;
– che l’evento, anche quello occorso in danno di un terzo, sia concretizzazione del rischio lavorativo, ovvero del rischio di nocumento del lavoratore in conseguenza dell’attività espletata o del terzo che si trova in analoga situazione di esposizione.
Nel giudizio relativo al disastro di Viareggio la Corte di Appello di Firenze, invece, aveva riconosciuto l’aggravante perché il sinistro “è avvenuto nel corso dello svolgimento dell’attività lavorativa del trasporto per ferrovia di quella merce pericolosa, e costituisce un ‘rischio tipico’ che l’imprenditore ferroviario è chiamato a governare, tutelando da esso in primo luogo i dipendenti propri, di altre imprese ferroviarie e del gestore della rete ferroviarie …., ma in secondo luogo, ed altrettanto direttamente, tutti coloro che, trovandosi per qualunque motivo legittimo e noto nei pressi del treno nel momento del deragliamento, prevedibilmente ne verrebbero travolti…”.
La Corte di Cassazione ha però osservato, in senso contrario, che il rischio tipico dell’imprenditore ferroviario attiene alla sicurezza della circolazione ferroviaria; esso può concretizzarsi anche nei confronti dei lavoratori dipendenti, senza per questo mutarsi – addirittura per chiunque ne risulti investito – in rischio lavorativo. Piuttosto, essendo quell’imprenditore anche datore di lavoro, egli è tenuto altresì a garantire la sicurezza del lavoro a coloro che sono esposti ai rischi insiti nell’esercizio dell’attività lavorativa. L’autonomia delle due aree di rischio non può però essere dimenticata, e con essa il fatto che alle diverse sfere di rischio si rapportano specifici gestori e specifiche regole comportamentali. Ha concluso, in buona sostanza, che il tragico evento di Viareggio costituiva concretizzazione del rischio tipico della circolazione ferroviaria e non di quello proprio dell’attività lavorativa.
Da ultimo, la Corte ha osservato che solo alcune tra le norme contestate nelle imputazioni potevano ascriversi al novero delle norme per la prevenzione degli infortuni: si tratta dell’art. 2087 del codice civile e degli artt. 23-24 del d.lgs. n. 81/2008. Ma analizzando la posizione gestoria degli imputati ai quali poteva ricondursi la violazione delle norme predette ha concluso nel senso che la violazione delle norme stesse non aveva avuto un ruolo causale nella verificazione degli omicidi oggetto del processo. Ha perciò escluso la configurabilità delle aggravanti in materia infortunistica ed ha conseguentemente dichiarato l’avvenuta estinzione per prescrizione dei reati.