Il datore di lavoro negli enti locali: l'atto generale di designazione quale conseguenza della separazione tra ruolo politico e ruolo amministrativo
Chi è il datore di lavoro, quanto alla tutela della salute e sicurezza del lavoro, nelle pubbliche amministrazioni, ed in particolare negli enti locali? Il tema è notoriamente dibattuto, ma non può certamente dirsi che la normativa prevenzionistica non fornisca indirizzi chiari per orientare l’interprete e, in primo luogo, le stesse amministrazioni pubbliche.
Bisogna invero partire dalla disposizione dell'art.2 lett. b) del d. lgs n.81/2008, che recita: nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività', e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo.
Gran parte della giurisprudenza, nella vigenza della precedente normativa, meno esaustiva di quella attuale, aveva già ravvisato la necessità di un atto espresso di individuazione del dirigente o del funzionario quale datore di lavoro, precisando che altrimenti la posizione sarebbe rimasta in capo al vertice politico dell’Ente pubblico.
Tale necessità è oggi affermata direttamente nel testo normativo, che impone la formalizzazione del ruolo. L’individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di datore di lavoro non può essere implicita; non può dirsi, in altri termini, che essa concerna un dirigente o funzionario solo perché preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione che hanno competenze nel settore specifico. L’individuazione in parola è invece espressamente demandata alla pubblica amministrazione, che vi provvede con l'attribuzione della qualità e il conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale. Nelle pubbliche amministrazioni, in altre parole, l'attribuzione della qualità di datore di lavoro a persona diversa dall'organo di vertice non può che essere espressa, anche perché comporta l’attribuzione dei poteri di gestione in tema di sicurezza. Sono gli organi di direzione politica che devono procedere all’individuazione, tenendo conto dell’ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici. Non è quindi possibile una scelta non esplicita e non accompagnata dal conferimento di poteri di gestione alla persona fisica.
La conseguenza della mancata indicazione, in coerenza al disposto normativo, è la conservazione in capo all'organo di direzione politica della qualità di datore di lavoro.
La posizione interpretativa della giurisprudenza è assolutamente conforme alle norme. Basti citare, tra le più recenti pronunce, Cass., IV, n. 30557 del 19/7/2016, PC e altri in proc. Carfi’ e altri, nonchè Cass., IV, n. 30214 del 12/04/2013, Orciani. Precisano i giudici che l’individuazione del soggetto cui compete la qualifica di datore di lavoro sotto il profilo della sicurezza, con il conferimento dei conseguenti poteri, è un atto tipico di direzione politica, che compete agli organi di vertice di ciascuna amministrazione o ente.
E l’atto di individuazione – giova aggiungere – ha una dimensione giuridica tutt’affatto diversa dal provvedimento di delega.
Il primo è infatti correlato alla specialità della disciplina dettata per le pubbliche amministrazioni, alle quali, come ha ricordato la citata sentenza Carfi’, non si applicano i criteri di imputazione della responsabilità per cosiddetta colpa di organizzazione individuati dal d. lgs. 8 giugno 2001, n.231 e dall’art.30 del d. lgs. n.81/2008 con riferimento alla responsabilità delle persone giuridiche da reato; tale sistema si applica solo agli enti pubblici economici, oltre che, ovviamente, alle società ed enti privati con scopo di lucro. L’errata – e dunque colposa – individuazione del datore di lavoro non configura pertanto una colpa a carico dell’ente/amministrazione, posto che il dettato normativo già prevede la specifica conseguenza di un’individuazione non conforme ai criteri normativi. La conseguenza è quella per cui le responsabilità proprie del datore di lavoro in materia di sicurezza continuano a far capo agli organi politici di vertice.
La delega è invece un atto per cosi’ dire secondario, che comporta il trasferimento di compiti e poteri da un soggetto ad un altro, in posizione sottordinata.
Muovendosi dunque l’atto di individuazione in una prospettiva diversa da quella propria del provvedimento di delega, è chiaro che al dirigente individuato come datore di lavoro competono ex se tutte le funzioni datoriali, senza distinzione tra funzioni delegabili e non delegabili.
In tema di norme per la prevenzione degli infortuni, la normativa vigente esclude, in altre parole, che si possa ascrivere all'organo di vertice, anche se di un Comune di modeste dimensioni, quale organo politico, ogni violazione di specifiche norme antinfortunistiche, quando risulti individuato il dirigente con qualifica di datore di lavoro in correlazione all'ubicazione ed all'ambito funzionale del singolo ufficio e dunque in conformità alla legge.
Quanto, in particolare, agli enti locali, occorre aggiungere che il principio di separazione tra politica ed amministrazione, delineato dall'art.107 d. lgs. 18 agosto 2000, n.267 (T.U. dell’Ordinamento Enti Locali, in precedenza art.51 legge 8 giugno 1990, n.142 e, per tutte le Amministrazioni pubbliche, art.3 d. lgs. 3 febbraio 1993, n.29) implica una fondamentale distinzione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e quelle di amministrazione. Le prime competono agli organi di governo, i quali le esercitano definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento delle predette funzioni, con verifica della rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti; le seconde rientrano nella sfera di competenza dei dirigenti, ai quali spetta l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi, compresi tutti quelli che impegnano l'amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.
I dirigenti sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.
Con specifico riguardo alla dimensione prevenzionistica, pertanto, la ripartizione cui si è fatto cenno comporta che gli obblighi di controllo sulla fonte del rischio e gli obblighi relativi alla gestione del rischio stesso spettano al dirigente responsabile del corrispondente servizio tecnico; l'organo politico risponde, per tale profilo, di eventuali atti o condotte omissive che abbiano privato il dirigente della reale autonomia di spesa, funzionale agli interventi necessari per neutralizzare il rischio.
Rientra dunque nell'autonomia autorganizzatoria degli enti pubblici, locali o meno che siano, l'organizzazione degli uffici e dei servizi, nonché l'attribuzione delle facoltà gestionali ai dirigenti; il tutto mediante l’adozione di specifiche norme di rango regolamentare, in conformità alle norme statuarie dell’ente e, ancor prima, per ciò che riguarda la prevenzione, alla norma di rango statuale dell’art. 2 lett.b) del d.lgs. n.81/2008. È pertanto in tale ambito che occorre provvedere all'individuazione del dirigente o del funzionario responsabile delle procedure stabilite in materia di sicurezza; spetta, in altre parole, al regolamento dell'ente, in raccordo con lo statuto, provvedere all'organizzazione degli uffici e dei servizi, ricercando i dipendenti dirigenti, o non dirigenti, in relazione alla tipologia dell’ente, cui attribuire le responsabilità connesse al procedimento, anche in materia di sicurezza sul lavoro (come pure in materia di ambiente) in relazione alle specifiche professionalità possedute dai medesimi.
Saranno poi i dirigenti (o, nei congrui casi, i funzionari pubblici) individuati come datori di lavoro ad emanare eventuali provvedimenti di delega di funzioni a soggetti sottordinati; e solo con riguardo a tali provvedimenti troverà applicazione la normativa di cui all’art. 16 del d.lgs n.81/2008, con la conseguente esigenza di fissare ambito, presupposti e requisiti delle singole deleghe.
Da ultimo va osservato che la citata sentenza Carfi’ si è fatta ulteriormente carico di delineare con chiarezza quale sia l'ambito entro il quale può eventualmente residuare in capo all'organo di vertice dell'Ente, o all'assessore delegato, l'obbligo di gestire il rischio derivante ai lavoratori dalle mansioni svolte presso strutture ed impianti pubblici. Per il Sindaco la norma di riferimento è l’art. 50 del T.U.E.L., che definisce il primo cittadino come organo responsabile dell’amministrazione del Comune. Sebbene la disposizione faccia esplicito riferimento alla delimitazione dei poteri del Sindaco rispetto a quanto previsto dall’art.107 (funzioni e responsabilità dei dirigenti) e quindi ad una distinzione tra poteri di indirizzo e poteri di concreta gestione, ciò non esclude che il primo cittadino debba svolgere un ruolo di controllo sull'operato dei suoi dirigenti e che analogo controllo siano tenuti a svolgere gli assessori, con riguardo ai dirigenti che operano nei settori di loro competenza. E la sentenza osserva come tale potere-dovere trovi riconoscimento, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche nelle tematiche ambientali, laddove è stato affermato, che «la distinzione operata dall'art. 107 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali fra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo, e i compiti di gestione attribuiti ai dirigenti, non esclude, in materia di rifiuti, il dovere di attivazione del Sindaco allorché gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico-operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l'integrità dell'ambiente» (Cass., III, n. 37544 del 27/06/2013).
Volendo esplicitare un caso emblematico in cui la ripartizione tra compiti gestionali e ruolo politico può comunque conservare un dovere di intervento in capo all’organo di vertice dell’ente, non può che farsi riferimento al tema della messa in sicurezza degli impianti e delle strutture di proprietà dell'ente. In quest’ambito, infatti, la posizione di garanzia dell'organo politico non può ritenersi esclusa dall'attribuzione dei compiti di gestione ai dirigenti amministrativi, perché si versa in un'area di rischio che può coinvolgere anche scelte di indirizzo politico dell'ente, se non altro per le implicazioni di carattere economico che possono derivarne. Ma, onde evitare ogni forma di automatismo tra posizioni apicali e responsabilità omissive nell’ipotesi di riscontrate carenze nella messa in sicurezza è, in ogni caso, necessario verificare, per un verso, se, secondo la concreta organizzazione dell’ente, il datore di lavoro/dirigente/funzionario potesse comunque in piena autonomia assumersi le doverose scelte gestionali, nonché, per altro verso, se in capo all’organo di vertice dell’ente fosse ravvisabile una concreta conoscenza o conoscibilità della situazione di pericolo, tale da originare in ogni caso il dovere di intervento.
Una volta correttamente conformato dunque, l’atto individuazione del datore di lavoro, solo una verifica concreta delle caratteristiche del singolo caso può portare a riscontrare pure una concorrente responsabilità dell’organo politico apicale.