Interesse e vantaggio ai fini della responsabilità dell'ente: come si configurano nel settore della prevenzione?
Nel regime normativo delineato dal d.lgs. n.231/2001 in tema di responsabilità dell’ente per l’illecito dipendente da reato, costituisce presupposto indefettibile per l’integrazione dell’illecito la sussistenza di un interesse o vantaggio dell’ente, ricollegabile al reato commesso da soggetto organicamente o funzionalmente collegato all’ente stesso (art.5).
Ciò vale, ovviamente, a seguito dell’introduzione, con l’art.9 della legge delega 3.8.2007 n.123, dell’art. 25 septies nell’ambito del d.lgs. n. 231/2001, anche con riferimento ai reati di omicidio e lesioni personali colpose per la violazione delle norme in materia di salute e sicurezza del lavoro.
In generale, quanto alla “conformazione” dell’interesse e/o del vantaggio, può dirsi che, almeno allo stato, un punto fermo sia stato messo dalla nota sentenza delle Sezioni Unite del 24 aprile 2014 (dep.18 settembre 2014) n.38343, Espenhahn ed altri, sulla triste vicenda del rogo alla Thyssenkrupp, che ha statuito che “in tema di responsabilità da reato degli enti, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 del d.lgs. 231/ 2001 all'interesse o al vantaggio, sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile "ex ante", cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito”.
Altro profilo critico è stato poi da più parti evidenziato con riferimento al tema della compatibilità dei concetti di interesse e vantaggio con i reati colposi, atteso che in tale tipologia di reati l’evento non è ovviamente voluto. Al riguardo è stata sottolineata la necessità di un’interpretazione volta a prevenire un’assurda abrogazione implicita della norma e si è conseguentemente e diffusamente pervenuti ad una lettura del sistema normativo focalizzata sull’accertamento della compatibilità dei concetti di interesse e vantaggio non già con l’evento dei delitti colposi (nessuno si sognerebbe di affermare che la morte o le lesioni di un dipendente o di un terzo, causate colposamente dalla violazione di norme prevenzionali, possano rispondere all’interesse dell’ente o produrre un vantaggio allo stesso) bensì con la condotta costituita dalla violazione delle norme di prevenzione.
Ad ogni buon conto, un’interessante ricognizione dei possibili criteri di valutazione circa la ricorrenza dei requisiti dell’interesse e del vantaggio in materia di sicurezza del lavoro si rinviene nella sentenza n.2544 del 17 dicembre 2015 (dep. 21 gennaio 2016) della IV sezione della Cassazione. La sentenza ha, innanzi tutto, ribadito quanto affermato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza Espenhahn circa il fatto che un vantaggio per l'ente possa essere ravvisato, ad esempio, nel risparmio di costi o di tempo che lo stesso avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica, la cui violazione ha determinato l'infortunio sul lavoro. Analogamente, ha osservato che i termini "interesse" e "vantaggio" esprimono concetti giuridicamente diversi e possono essere alternativi (come emerge, da un punto di vista sistematico, anche dalla norma di cui all'art. 12 del d.lgs. n.231/2001, che al comma 1 lett. a) prevede una riduzione della sanzione pecuniaria nel caso in cui l'autore ha commesso il reato nell'interesse proprio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo) e ha ribadito che il concetto di "interesse" attiene ad una valutazione antecedente alla commissione del reato presupposto, mentre il concetto di "vantaggio" implica l'effettivo conseguimento dello stesso a seguito della consumazione del reato (e, dunque, una valutazione ex post).
Ma assai interessante è lo sviluppo del ragionamento della Corte, che ha provato a dare maggiore concretizzazione ai due concetti, avendo riguardo alla particolarità della materia antinfortunistica. Ha così osservato che “ricorre il requisito dell'interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un'utilità per la persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma) di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio a danno del lavoratore, l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell'ente (ad esempio far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione). Ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell'ente, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto”.
Il condivisibile ragionamento della Corte apre, dunque, il campo per una valutazione che, lungi dal ritenere sussistente in re ipsa quanto meno il requisito del vantaggio in occasione di ogni evento lesivo che sia stato determinato dalla violazione di norme di prevenzione, si focalizzi sull’analisi delle peculiarità del caso concreto, mirando ad appurare se la condotta irrispettosa del debito di prevenzione sia stata finalizzata, ab origine, dall’intento di agevolare l’ente (sotto il profilo del risparmio di costi o dell’accelerazione della produttività) ovvero abbia comunque conseguito un esito apprezzabile nei medesimi termini. A questa analisi deve accompagnarsi, allo scopo di rendere più congruo e certo il primo profilo di valutazione, altra analisi, intesa a verificare se l’intento agevolativo dell’ente e/o il vantaggio a questo obiettivamente derivato siano riconducibili ad una scelta episodica e specifica, ovvero siano rapportabili ad una generale politica di impresa, poco accorta o addirittura noncurante delle “ragioni della sicurezza”. Tale seconda valutazione, invero, aiuta, da un lato,a comprendere meglio i presupposti del conseguimento dell’interesse o vantaggio e consente, dall’altro, anche una migliore comprensione del disvalore della fattispecie, anche al fine della graduazione della sanzione eventualmente comminabile all’ente.
Altro profilo da vagliare, sempre con espressa attenzione alle peculiarità del caso concreto, è poi quello volto a stabilire se la violazione delle norme di prevenzione sia stata determinata dall’intento di accelerare i ritmi dell’attività produttiva o di erogazione dei servizi, posto che anche questa finalità (ed il corrispondente risultato) possono rilevare in termini di interesse e vantaggio per l’ente. Il tutto, però, con l’opportuna precisazione che, al fine di fondare un giudizio di rimproverabilità e, quindi, più in concreto, per poter apprezzare la sussistenza di un effettivo interesse o vantaggio dell’ente, appare necessario che, nel caso specifico, interesse e vantaggio siano significativi e non trascurabili. In altri termini, un irrisorio risparmio di spese o una trascurabile accelerazione dell’attività produttiva non potrebbero essere ritenuti rilevanti per fondare un addebito all’ente, se non a costo di ledere il principio di offensività che, seppur non codificato, costituisce comunque un principio immanente del nostro ordinamento, sia con riguardo agli illeciti penali, sia, deve argomentarsi, in punto di responsabilità dell’ente.