La causalità della colpa: non ogni violazione normativa è causalmente rilevante nella determinazione dell’evento lesivo
Un operaio addetto alla manutenzione elettrica da circa vent’anni, mentre effettuava un intervento finalizzato ad invertire la posizione dei fili elettrici della presa di corrente del nastro trasportatore situato all’uscita della pressa ‘SACMI’, premeva sul relativo pannello elettrico il pulsante nero con la dicitura “arresto”, anziché il selezionatore principale o il tasto di emergenza per togliere tensione al nastro, procurandosi in tal modo gravissime lesioni.
Al datore di lavoro si addebitava l’infortunio, per non avere adeguatamente rispettato l’obbligo di valutazione dei rischio elettrico contemplato dall’art. 80 del d.lgs. n. 81/2008, che prescrive, in particolare, al comma 3 bis l’articolazione di procedure operative per lavori in tensione, sotto tensione, o diretti alla verifica dei guasti finalizzate alla individuazione delle modalità preventive ritenute necessarie alla adeguata specificazione delle tipologie di intervento sugli impianti elettrici da parte degli addetti; inoltre lo si addebitava per la mancata indicazione specifica, da parte dei datore di lavoro, dei soggetti abilitati a compiere le varie tipologie di lavori elettrici così come prescritto dall’art. 82 del d.lgs. n. 81/2008.
La sentenza che ha chiuso il processo – Cassazione Penale, Sez. 4, 28 ottobre 2019, n. 43652, udienza del 2 luglio 2019 –riteneva non adeguatamente spiegate le ragioni poste a fondamento dell’addebito e,per giungere a tale conclusione, si addentrava specificamente nella disamina del tema della causalità della colpa, ovvero del profilo squisitamente personale, che va individuato nella capacità soggettiva dell’agente di osservare la regola cautelare, nella concreta possibilità di pretenderne l’osservanza ovvero nella esigibilità del comportamento dovuto.
La sentenza iniziava il proprio ragionamento ricordando che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo invece il principio di colpevolezza la verifica, in concreto, sia della sussistenza della violazione, da parte dei garante, di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (c.d. concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso.
Invero, la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire. Tale esigenza conferma dunque l’importante ruolo della prevedibilità ed evitabilità nella individuazione delle norme cautelari alla cui stregua va compiuto il giudizio ai fini della configurazione del profilo soggettivo della colpa.
Occorre insomma identificare una norma specifica avente natura cautelare posta a presidio della mancata verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che all’epoca della creazione della regola consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti e di individuare le misure atte a scongiurare o attenuare il rischio.
Inoltre il profilo causale della colpa più strettamente aderente al rimprovero personale implica che l’indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il c.d. comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l’evento.
In definitiva, in tema di reati colposi l’addebito soggettivo dell’evento richiede non solo che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che io stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (c.d. comportamento alternativo lecito) non potendo essere ascritto per colpa un evento che, alla stregua di una valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato.
Non sarebbe infatti razionale pretendere, fondando poi un giudizio di rimproverabilità, un comportamento che sarebbe comunque stato inidoneo ad evitare l’evento antigiuridico.
Nel caso di specie, sulla base dei principi come sopra esposti, la Corte di Cassazione ha perciò ritenuto che la Corte distrettuale, investita dei compito di analizzare i profili causali concretamente rilevanti, avrebbe dovuto adeguatamente rispondere al cruciale quesito se, in presenza di una condotta così improvvisa ed estemporanea come quella che si era accertato essere stata posta in essere dal dipendente infortunatosi, caratterizzata anche dal mancato utilizzo del tester di cui aveva la disponibilità, ed attribuita ad un suo eccesso di sicurezza, il comportamento rispettoso della normativa sulla sicurezza sul lavoro da parte del datore di lavoro avrebbe potuto realmente condurre a scongiurare l’evento lesivo o lo avrebbe determinato con modalità significativamente meno dirompenti, tanto da indurre a ritenere ragionevolmente che le lesioni non ne sarebbero conseguite.
La carenza di motivazione sui punto, giudicata imprescindibile ai fini della configurazione della responsabilità colposa, ha portato quindi la Cassazione a disporre l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Corte di Appello.