Prescrizioni del medico competente, obblighi del datore di lavoro e sorveglianza da parte dei colleghi di lavoro del lavoratore

Cassazione, sez. IV pen. 09.07.2021, n. 26151 (ud. 14.01.2021)

(rif. norm: artt. 18-41 d.lgs n.81/2008; artt. 4-26-29-30 d.lgs. n. 196/2003)

Le prescrizioni mediche sullo svolgimento della prestazione lavorativa sono rivolte a rendere compatibile la condizione soggettiva del lavoratore con le esigenze produttive del datore di lavoro, al fine di consentire al primo di intraprendere e proseguire l’attività lavorativa, nonostante le deteriorate condizioni di salute, ed al secondo di limitare le modifiche dell’organizzazione del lavoro alle prescrizioni imposte, in modo da assicurare il diritto alla salute del lavoratore, ma anche l’utilità della prestazione lavorativa. Peraltro, iniziative che oltrepassino le prescrizioni imposte dal medico del lavoro costituiscono per il datore di lavoro l’assunzione di fatto di un rischio, generatore di responsabilità, laddove esse si rivelino dannose per la salute fisica o psichica del lavoratore. Dunque, non può ritenersi imposto al datore di lavoro alcun altro obbligo se non quelli prescritti, né è possibile ipotizzare alcuna estensione applicativa dei medesimi, se non a costo di far assumere al datore di lavoro responsabilità ulteriori non rientranti fra quelle espressamente previste. La predisposizione di una organizzazione lavorativa che coinvolga altri lavoratori nella sorveglianza del lavoratore cui si riferiscono le prescrizioni del medico competente richiede, in primo luogo, che terzi soggetti, i colleghi di lavoro appunto, siano messi a parte, proprio dal datore di lavoro, delle informazioni sullo stato di salute del lavoratore. Ciò, nondimeno, implica, ai sensi dell’art. 26 del c.d. Codice della Privacy, che l’interessato esprima per iscritto il suo consenso alla diffusione dei dati sanitari in possesso del datore di lavoro, non essendo a questi consentito diffonderli autonomamente. Ciò è ribadito dall’art. 51 delle linee guida emesse dal Garante della privacy, secondo cui “La conoscenza dei dati personali relativi ad un lavoratore da parte di terzi è ammessa se l’interessato vi acconsente”, rimanendo impregiudicata la facoltà del datore di lavoro di disciplinare le modalità del proprio trattamento designando i soggetti, interni o esterni, incaricati o responsabili del trattamento, che possono acquisire conoscenza dei dati inerenti alla gestione del rapporto di lavoro, in relazione alle funzioni svolte e a idonee istruzioni scritte alle quali attenersi (artt. 4, comma 1, lett. g) e h), 29 e 30). Ma nulla autorizza a diffondere notizie sulla salute del lavoratore ai colleghi che operino con il medesimo. Né, tantomeno, è possibile ipotizzare che la ‘sorveglianza’ su un collega rientri fra gli obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di lavoro, sicché non è possibile da parte del datore di lavoro neppure richiedere una simile prestazione. Il datore di lavoro, quindi, in assenza di consenso dell’interessato, non deve informare i colleghi che operano con il lavoratore destinatario delle prescrizioni del medico competente, affinché lo sorveglino adeguatamente, né pretendere da loro un siffatto controllo.

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