Quando l’esiguità del risparmio di spesa non fa venir meno la responsabilità dell’ente

Mentre stava attraversando un piazzale adibito al deposito e alla movimentazione delle merci con mezzi meccanici, un dipendente di una società era stato investito da un muletto in retromarcia condotto da altro dipendente della medesima società. A seguito di ciò aveva riportato lesioni da schiacciamento al piede.

Il legale rappresentante della società, quale datore di lavoro ai fini della normativa di prevenzione, è stato ritenuto responsabile dell’evento lesivo, per non aver adottato le misure di prevenzione imposte dagli artt. 163 comma 1, 71 comma 4 lett. a) e 15 del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81. In particolare, gli è stato contestato: di non aver predisposto una segnaletica orizzontale idonea ad individuare vie di circolazione sicure all’interno del piazzale (art. 163 comma 1 d.lgs. n. 81/2008); di non aver provveduto alla manutenzione del carrello elevatore, che aveva il cicalino di segnalazione della retromarcia non funzionante (art. 71 comma 4 lett. a) d.lgs. n. 81/2008); di non aver dotato il carrello elevatore di uno specchietto retrovisore (art. 15 d.lgs. n. 81/2008).

La società è stata ritenuta responsabile ai sensi degli artt. 5 e 25-septies d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 per il reato commesso dal legale rappresentante, «nell’esclusivo interesse dell’ente», in assenza di procedure amministrative volte a controllarne l’operato.
La sentenza della quarta sezione della Cassazione penale n. 13218 del 7.4.2022 ha concluso il giudizio. Per quanto concerne il tema rilevante ai sensi del d.lgs. n.231/2001, va osservato che, nel proporre ricorso in Cassazione, la società lamentava la carenza di motivazione della sentenza di appello, con riferimento ai presupposti della responsabilità dell’ente ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 231/2001. Secondo la società ricorrente, nell’affermare che il reato era stato commesso nell’interesse dell’ente, infatti, la sentenza impugnata si sarebbe limitata a sostenere, con motivazione apodittica, che l’inadempimento degli obblighi cautelari determinò l’adozione da parte dell’ente di «modalità organizzative sicuramente molto meno dispendiose» e tale affermazione sarebbe stata formulata senza tenere conto dell’entità delle spese complessivamente affrontate dalla società per manutenzione e sicurezza, di gran lunga superiori al risparmio che l’ente avrebbe conseguito grazie agli inadempimenti dei quali il legale rappresentante era stato ritenuto responsabile. La società lamentava, inoltre, che, secondo i giudici di merito, la società avrebbe conseguito un vantaggio dal reato consistito in un incremento di produttività, ma che la motivazione sul punto della rilevanza giuridica di un vantaggio siffatto era del tutto carente e meramente ipotetica.

La Corte di Cassazione ha però giudicato il ricorso infondato, innanzi tutto nella parte in cui si deduceva il difetto di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza dell’interesse quale criterio soggettivo di imputazione della responsabilità. La giurisprudenza di legittimità è, invero, costante nel ritenere che tale criterio soggettivo di imputazione, debba essere indagato ex ante e consista nella prospettazione finalistica, da parte del reo-persona fisica, di arrecare un interesse all’ente mediante il compimento del reato, a nulla valendo che poi tale interesse sia stato o meno concretamente raggiunto. Così si è espressa, in particolare, la sentenza delle sezioni unite, n. 38343 del 24 aprile 2014, Espenhahn, sul caso della Thyssenkrupp, che ha fatto scuola al riguardo.

Nel respingere il ricorso della società, la Cassazione con la sentenza n. 13218 ha osservato che le sentenze di merito avevano ricostruito con chiarezza il contesto nel quale l’infortunio si era verificato. Avevano rilevato che nel piazzale non era presente alcuna forma di segnaletica stradale e che il documento di valutazione del rischio prevedeva espressamente la realizzazione di una segnaletica orizzontale volta a delimitare l’area adibita alla movimentazione dei mezzi, ma questa misura di prevenzione, che lo stesso datore di lavoro aveva individuato come doverosa, non era stata attuata se non in epoca successiva all’infortunio. Avevano inoltre osservato che in due occasioni il tecnico incaricato della manutenzione del muletto aveva segnalato la necessità di riparare o sostituire il “cicalino di retromarcia”, senza che nessuno provvedesse in tal senso. Avevano dedotto da queste circostanze che le modalità organizzative adottate dall’imputato – in particolare la scelta di non predisporre segnaletica orizzontale in un piazzale nel quale «erano accumulate grandi quantità di merci» e vi erano «numerosi spostamenti in contemporanea di uomini e mezzi» – erano «sicuramente molto meno dispendiose» e finalizzate quindi ad un risparmio di spesa. Avevano perciò giudicato irrilevante che quel risparmio fosse stato «esiguo», se raffrontato alle spese che ordinariamente la società sosteneva per la manutenzione (documentate dalle schede contabili prodotte dal difensore dell’ente).
Nel condividere dette argomentazioni, la Cassazione ha quindi ribadito importanti principi in punto di responsabilità dell’ente in relazione ai reati di omicidio o lesioni personali colpose. In questo senso ha dunque ricordato, innanzi tutto, che il “risparmio” per l’impresa, nel quale si concretizza il criterio di imputazione oggettiva rappresentato dall’interesse, può consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione e che un tale risparmio si può realizzare anche consentendo lo spostamento simultaneo di uomini e mezzi senza delimitare le rispettive aree di azione. Per altro verso, ha ribadito che la giurisprudenza è concorde nell’affermare che il requisito della commissione del reato nell’interesse dell’ente non richiede una sistematica violazione di norme antinfortunistiche ed è ravvisabile anche in relazione a trasgressioni isolate, se altre evidenze fattuali dimostrano il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente. La sentenza in commento ha infine precisato che, nel caso in esame, la violazione delle norme in materia di prevenzione infortuni risultava essersi protratta nel tempo.

La circostanza che il risparmio conseguito per la mancata adozione delle misure antiinfortunistiche fosse stato minimo a fronte delle spese ingenti che la società affronta per la manutenzione e la sicurezza, non è stata pertanto giudicata rilevante nel caso concreto. La Corte di Cassazione ha, infatti motivatamente preso le distanze dal principio – recentemente affermato dalla sentenza della sezione quarta penale n.2256 del 3.3.2021 – secondo cui, «ove il giudice accerti l’esiguità del risparmio di spesa derivante dall’omissione delle cautele dovute», per poter affermare che il reato è stato realizzato nell’interesse dell’ente «è necessaria la prova della oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quelle della tutela dei lavoratori». La pronuncia che in questa sede si commenta ha, infatti, sottolineato che, come emerge chiaramente dalla motivazione della sentenza n.2256/2021, tale principio può operare soltanto «in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro» e in mancanza di altra prova che la persona fisica, omettendo di adottare determinate cautele, «abbia agito proprio allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica». Può applicarsi, dunque, soltanto in situazioni nelle quali l’infortunio «sia plausibilmente riconducibile anche a una semplice sottovalutazione del rischio o ad un’errata valutazione delle misure di sicurezza necessarie alla salvaguardia della salute dei lavoratori» e non quando, come nel caso di specie, quel rischio sia stato valutato esistente dallo stesso datore di lavoro, e le misure per prevenirlo, indicate nel documento di valutazione del rischio, siano state poi consapevolmente disattese per un lungo periodo di tempo.

Si deve pertanto concludere – ed in questo può individuarsi la specificità della sentenza n.13218/2022 – che, nei casi di violazione non episodica delle norme di prevenzione, debba essere apprezzata, al fine di fondare la responsabilità dell’ente con riferimento ai delitti di omicidio e lesione personale colposa, anche la produzione di un vantaggio marginale ed episodico. Può, invero, sottolinearsi al riguardo che, in casi siffatti, soprattutto quando v’è, in capo alla società, la piena consapevolezza del rischio non adeguatamente tutelato, la scelta di non cautelare la specifica condotta risulta in linea con le scelte societarie abituali, e quindi operata nell’interesse della società stessa; di conseguenza, affermata la sussistenza del requisito dell’interesse dell’ente, è ultronea la valutazione del diverso, e alternativo, requisito del vantaggio. Laddove, invece, si sia in presenza di una generale osservanza, da parte della società, della normativa di prevenzione, per stabilire la rilevanza, ai sensi del d.lgs. n.231/2001, di infortuni collegati a violazioni episodiche di detta normativa è necessario avere riguardo al vantaggio che ne è derivato e, in questo senso, apprezzarne la relativa entità.

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