Sentenza della cassazione sul terremoto dell'aquila: preziose indicazioni per la valutazione della gestione del rischio anche nella materia della sicurezza del lavoro
La dolorosa vicenda del terremoto dell’Aquila è giunta a conclusione, per ciò che concerne il complesso profilo relativo alle responsabilità della Commissione Grandi Rischi, con la sentenza della IV sezione penale della Corte di Cassazione n.12478, depositata il 24 marzo 2016 (PG in proc. Barberi ed altri).
La Corte di Appello dell’Aquila, ribaltando il giudizio del Tribunale, aveva assolto i sei membri tecnici della Commissione Grandi Rischi e confermato la condanna del solo vice presidente della Protezione Civile, autore di una discussa intervista televisiva, i cui contenuti venivano ritenuti dai giudici impropriamente rassicuranti e dunque causalmente rilevanti, sotto il profilo della cd. causalità psichica, rispetto agli eventi lesivi che avevano colpito quelle persone che avevano omesso di adottare le dovute cautele proprio in ragione della fuorviante comunicazione di cui sopra.
La Cassazione ha confermato il verdetto di secondo grado, statuendo, per quanto concerne l’unica statuizione di condanna, che l’organo della Protezione Civile che provvede a fornire informazioni alla collettività circa la previsione, l’entità e la natura di paventati eventi rischiosi per la pubblica incolumità esercita una funzione concreta di prevenzione e di protezione, per cui è tenuto ad adeguare il contenuto della comunicazione pubblica ad un livello ottimale di trasparenza, comprensibilità e correttezza scientifica.
La sentenza è stata occasione per analizzare taluni aspetti cruciali delle complesse tematiche della colpa e della causalità, sulla scorta di quanto di recente affermato dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n.38343 del 24.4.2014, Espenhahn ed altri (relativa al tristemente noto disastro della Thyssenkrupp) per cui è venuta a fissare principi di grande interesse, trasponibili anche al settore della salute e sicurezza del lavoro, settore nel quale, come è ben noto a tutti gli operatori del diritto, ma, più in generale, anche a tutti i soggetti coinvolti nell’organizzazione della sicurezza, i temi della colpa e della causalità rivestono un rilievo essenziale.
Ed ecco dunque che, in questo senso, si palesano preziose ed oltremodo interessanti le considerazioni che la sentenza svolge a proposito della corretta delimitazione dell’area di rischio che le figure soggettive di volta in volta contemplate da specifiche disposizioni normative (i cd. “garanti”, per usare un termine ormai consueto in ambito giuridico) sono tenute a gestire, nonché a proposito delle corrette modalità che devono presiedere a tale gestione.
In questo senso giova ripercorrere il ragionamento della Corte, osservando come le argomentazioni espresse ben si attaglino anche al settore antinfortunistico; considerazione, quest’ultima, del resto fatta espressamente propria anche dalla sentenza in commento.
La Corte muove dunque dalla considerazione del principio di equivalenza causale di cui all'art. 41 cod. pen., alla cui stregua la condotta umana deve ritenersi causalmente efficiente nella produzione dell’evento anche quando non abbia costituito l’unica causa dello stesso; basta, dunque, che lo abbia in qualche modo “condizionato”, anche se non in maniera esclusiva. Osserva come sia peraltro necessario arginare l’eccessiva forza espansiva dell'imputazione del fatto determinata dal predetto principio (condizionalismo) e come dunque appaia insostituibile un ponderato giudizio sulla paternità dell'evento illecito.
In questo senso procede quindi alla valutazione della rilevanza giuridico del concetto di “rischio governabile” ed osserva in particolare che proprio il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con decisiva chiarezza la centralità dell'idea di rischio. Il rischio è unico come categoria concettuale, ma, naturalmente, si declina concretamente in diversi modi, in relazione alle differenti situazioni lavorative. Dunque, esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare. Soprattutto nei contesti lavorativi più complessi si è frequentemente in presenza di differenziate figure di soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi a diversi livelli e quindi autonomamente rilevanti anche con riguardo alle diverse manifestazioni del rischio. Ciò suggerisce che in molti casi occorre configurare già sul piano dell’imputazione oggettiva distinte sfere di responsabilità gestionale, separando le une dalle altre. Esse limitano l'imputazione penale dell'evento al soggetto che viene ritenuto 'gestore' del rischio cui l’evento lesivo risulta collegabile, potendosi conseguentemente affermare, in modo sintetico, che il 'garante' è il soggetto che gestisce il rischio e sul quale grava l’obbligo giuridico di impedire l’evento; tale ricostruzione concettuale fonda la responsabilità in ordine ai reati commissivi mediante omissione, ai sensi dell’art. 40, cpv. cod. pen., alla cui stregua non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.
L’esigenza di delimitazione delle sfere di responsabilità si è fatta strada nella giurisprudenza, che ha rilevato come, in concreto, la diversità dei rischi diversifichi le sfere di responsabilità.
Così, ad esempio, nel caso di abusiva introduzione notturna da parte del lavoratore nel cantiere irregolare, si è distinto implicitamente tra rischio lavorativo e rischio da ingresso abusivo ed è stata annullata la pronunzia di condanna anche se il datore di lavoro aveva violato le prescrizioni antinfortunistiche (Cass., Sez. 4, n. 44206, del 25/09/2001). La vittima era infatti – nel caso sottoposto all’esame della Corte – occasionalmente un lavoratore, ma la situazione pericolosa nella quale si era verificato l’incidente non era riferibile al contesto della prestazione lavorativa, sicché non entravano in questione la violazione della normativa antinfortunistica e la responsabilità del gestore del cantiere. Al momento dell’incidente non era in corso un’attività lavorativa, pertanto il caso andava esaminato dal differente punto di vista delle cautele che avrebbero dovuto essere approntate dal responsabile del sito per inibire la penetrazione di estranei in un'area pericolosa come un cantiere edile (nello stesso senso, più recentemente, Cass., Sez. 4, n. 43168 del 15/10/2014).
La riflessione condotta dalla giurisprudenza ha poi, come indefettibile conseguenza logico-interpretativa, quella per cui, con particolare riguardo al tema degli infortuni sul lavoro, si deve considerare interruttiva del nesso di condizionamento tra la condotta del garante che deve gestire il rischio e l'evento infortunistico la condotta abnorme del lavoratore, quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento – osserva la sentenza in commento, nel solco di tante altre sentenze – è 'interruttivo' (per restare al lessico tradizionale) non perché 'eccezionale', ma perché 'eccentrico' rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare. Tale 'eccentricità' renderà magari in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento, ma ciò è una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell’esclusione dell’imputazione oggettiva dell'evento.
Per altro verso, una volta riconosciuta la sfera di rischio come area che designa l’ambito in cui si esplica l’obbligo di governare le situazioni pericolose (e quindi come parametro cui conformare l’obbligo del garante e valutarne l’eventuale responsabilità) ne discende altresì la necessità di individuare concretamente la figura istituzionale che può essere razionalmente chiamata a governare il rischio medesimo e la persona fìsica che incarna concretamente quel ruolo.
Ma la Cassazione osserva come questa enunciazione richieda di essere chiarita; occorre guardarsi – ammonisce la Corte – dall’idea che la sfera di responsabilità di ciascuno possa essere sempre definita e separata con una rigida linea di confine. In realtà le cose sono spesso assai più complesse, atteso che gli obblighi che coinvolgono diverse figure e diversi soggetti nella gestione di un rischio spesso si intrecciano. Questa serie di differenti connessioni, con il suo carico di complessità, rende chiaro quanto delicata sia l’individuazione di aree di competenza pienamente autonome che giustifichino la compartimentazione della responsabilità penale.
Le complesse argomentazioni che la Corte ha sviluppato nella sentenza in esame conducono alla formulazione di una conclusione di portata generale: l'effetto interruttivo della causalità può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare. Conclusivamente, la teoria del rischio offre, secondo la Corte, strumenti di analisi e ponderazione meno vaghi e più penetranti rispetto a quelli offerti dalla tradizione: in breve, l'individuazione del rischio è la chiave di volta per la lettura dei comportamenti tenuti dai singoli soggetti e per l’analisi del relativo disvalore, anche quando i comportamenti stessi vengano tra loro ad intrecciarsi. Una volta, peraltro, individuata l’area di rischio cui l’evento concretamente occorso è riconducibile, qualora si accerti l’intervento di fattori autonomi rispetto a quelli connessi al governo del rischio, fattori la cui concausalità risulti determinante e di significato tale da assorbire la spiegazione giuridica esclusiva dell’evento, è comunque possibile arrivare ad escludere la responsabilità del garante del rischio, pur in caso di riscontrate omissioni alla normativa di prevenzione.
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