Uno strano caso: il datore di lavoro che lavora va tutelato come gli altri lavoratori, ma… se non si tutela non e’ punibile
E’ indubbio, e comunque non evitabile concretamente, che anche il datore di lavoro possa svolgere attività lavorativa all’interno della propria società o azienda o comunque struttura di lavoro, alla stregua di qualsiasi altro suo dipendente o di qualunque altro soggetto che sia da ricomprendere nella definizione di “lavoratore”, alla stregua dell’art. 2, lett.a) del d.lgs. n.81/2008. Egli non potrà, in questi casi, essere giuridicamente definito come lavoratore, rimanendo comunque titolare della potestà organizzativa e decisionale, ma è cionondimeno indubbio che anche la sua persona sia meritevole di tutela alla stregua del complesso sistema normativo di prevenzione articolato nel d.lgs. n.81/2008.
Che le norme si prefiggano anche la tutela del datore di lavoro che operi, di fatto, alla stregua di qualsiasi altro lavoratore della sua azienda, non significa, però, automaticamente, che il datore di lavoro che scelga di non tutelare sé stesso sia concretamente punibile nello stesso modo in cui lo è se omette la tutela dei suoi lavoratori.
Ed invero, il principio di tipicità che informa il sistema penale impone di restringere le fattispecie penalmente rilevanti, e dunque punibili, a quelle espressamente contemplate dalle norme, senza consentire alcuna interpretazione estensiva delle norme stesse che valga ad ampliare il range di punibilità oltre quello espressamente definito dalla lettera della norma. Tutto ciò che le norme per così dire precettive impongono non è, in altre parole, sempre accompagnato dalla previsione dell’applicabilità di una sanzione per il caso di inosservanza. Tale conclusione vale a costituire un importante principio di garanzia per ogni individuo, che deve essere sicuro di poter essere punito penalmente solo in relazione ai casi per cui è espressamente prevista la punibilità.
Queste considerazioni vengono in rilievo a proposito dell’interpello n.1/2020 della Commissione per gli Interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di cui all’art.12
del d.lgs. n.81/2008.
La Commissione era stata interpellata dalla Regione Friuli Venezia Giulia per conoscere se, alla stregua della definizione di “operatore” di cui all‘art. 69, comma 1, lettera e) del d.lgs. n.81/2008 (che definisce operatore: il lavoratore incaricato dell’uso di una attrezzatura di lavoro o il datore di lavoro che ne fa uso) ed in base alla disposizione di cui all’art. 71, co. 7, lettera a) del medesimo decreto (che sancisce che “qualora le attrezzature richiedano per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché: a) l’uso dell’attrezzatura di lavoro sia riservato ai lavoratori allo scopo incaricati che abbiano ricevuto una informazione, formazione ed addestramento adeguati”), anche il datore di lavoro che utilizzi le attrezzature in questione sia considerato operatore e, in quanto tale, debba essere formato e abilitato al loro utilizzo, nonché sanzionato penalmente in caso di omessa abilitazione, ai sensi dell’art. 87, comma 2, lettera c), del d. lgs. 81/08, in riferimento alla violazione di cui all’art. 71, comma 7, lettera a), del medesimo decreto.
Ebbene, premessa una dettagliata ricognizione delle norme del d.lgs. n.81/2008 che vengono in proposito in rilievo, e ricordato che ai sensi dell’art. 73, comma 5, “in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono individuate le attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione” e che tale individuazione è concretamente avvenuta con l’accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 22 febbraio 2012 – n. 53/CSR, la Commissione ha osservato che il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, recante “disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183“, ha modificato l’articolo 69, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, inserendo nella definizione di “operatore” anche il datore di lavoro che precedentemente ne era escluso, ma non è intervenuto sui successivi articoli 71, comma 7, lettera a) e 87, comma 2, lettera c), del medesimo decreto. Dal combinato disposto delle predette norme si evince dunque la previsione di sanzioni penali a carico del datore di lavoro e del dirigente unicamente nel caso in cui gli stessi abbiano incaricato all’uso di attrezzature di lavoro, che richiedano per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari, “lavoratori” che non abbiano ricevuto “una informazione, formazione ed addestramento adeguati“.
E dunque, pur essendo vietato, a far data dall’entrata in vigore del citato decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, l’utilizzo di qualsiasi attrezzatura di lavoro, per la quale è prevista una specifica abilitazione, da parte di qualsiasi “operatore“, compreso il datore di lavoro, che ne sia privo, tuttavia, fatta salva l’applicazione alle singole fattispecie concrete di diverse disposizioni sanzionatorie previste dalla normativa vigente, sulla base del principio di tipicità che regola il sistema penale l’ambito di operatività dell’articolo 87, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 81/2008 deve essere circoscritto alle fattispecie in esso previste, per cui le relative sanzioni non possono essere applicate qualora tali attrezzature siano utilizzate dal datore di lavoro.
Certamente non può darsi torto alla Commissione interpelli. Consapevolmente o meno, il legislatore, nell’estendere, nel 2015, la definizione di “operatore” anche al datore di lavoro, non ha però modificato né la disposizione penale, né quella sostanziale di cui all’art. 71, comma 7, richiamata dalla norma penale. E poiché l’art. 71, comma 7, non si riferisce alla definizione di operatore ma a quella di lavoratore (che giuridicamente non ricomprende il datore di lavoro) quest’ultimo, pur avendo l’obbligo di formarsi all’utilizzo di determinate attrezzature, non incorre però nella sanzione penale se tanto non faccia.
Dal momento che, come chiarisce l’art.73, comma 4, l’esigenza di formare, informare ed addestrare i lavoratori che usano attrezzature che richiedono conoscenze e responsabilità particolari è finalizzata anche alla tutela rispetto a rischi che possano essere causati ad altre persone, sarebbe stato più coerente estendere la sanzione penale anche al datore di lavoro che utilizzi attrezzature siffatte in difetto delle opportune conoscenze. Ma, si tratti di una scelta legislativa intenzionale o di una svista, la sanzione penale non può essere applicata oltre i casi espressamente definiti dalla norma.
E che il legislatore abbia ben presente la possibilità, o meglio opportunità, di sanzionare penalmente anche il datore di lavoro che non si sottoponga alla necessaria formazione, informazione, addestramento, è testimoniato dalla previsione di cui all’art. 34, comma 2, che impone al datore di lavoro che intenda svolgere personalmente i compiti del servizio di prevenzione e protezione di frequentare specifici corsi di formazione, e che è sanzionata penalmente, in caso di inosservanza, ai sensi dell’art.55, comma 1, lett.b).
Ad ogni buon conto, il fatto che l’imposizione di un obbligo non sia accompagnata dalla previsione di una sanzione per il caso di inadempimento non significa certo che l’osservanza dell’obbligo non debba ritenersi cogente. Infatti, oltre alla configurabilità dei reati di omicidio o lesioni personali colpose, laddove la violazione dell’obbligo abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento lesivo (ovviamente tali reati non sarebbero configurabili nei casi in cui la vittima sia lo stesso datore di lavoro, il quale abbia fatto, in sostanza, male a sé stesso) è, in generale, la consapevolezza di dover lavorare, e far lavorare, in modo sicuro che dovrebbe guidare alla scrupolosa osservanza della norma, pur in assenza di sanzioni. Ciò è quanto accade in ogni impresa virtuosa; certo, quante siano le imprese virtuose è domanda a cui non è semplice rispondere.